flora gomes
il cinema come riscatto di un popolo
Flora Gomes, classe 1949. Regista di fama internazionale, ma prima di tutto figlio della Guinea Bissau. Il suo è un cinema politico, d’impegno, in cui l’occhio della telecamera è il pennello morbido di un pittore intento a dipingere il ritratto di un popolo in lotta per la sua libertà. Un occhio sempre dentro ai fatti, alla Storia “en train de se faire”. Uno sguardo attento e appassionato, da storico del presente, e nello stesso tempo partecipe e costruttore del domani.
"I miei film non sono altro che una riflessione sulla società di questo Continente, con un occhio privilegiato sulla Guinea Bissau. Il mio cinema vuole raccontare gli aspetti positivi della nostra terra, per dimostrare che oltre al traffico di droga, alla corruzione, alla povertà, esiste un’altra Guinea Bissau. Un Paese che sogna, che sa ridere, danzare, appassionarsi".
L’opera di Flora Gomes affonda le sue radici nel rapporto del regista con Amilcar Cabral, fondatore del PAIGC (il Partito Africano per l'Indipendenza della Guinea e di Capo Verde) e padre della lotta di liberazione dal Portogallo del 1973.
Flora Gomes era molto vicino a Cabral e attivo nel partito, tanto da considerarlo alla stregua di un padre. Una figura di riferimento che sarà centrale nella sua narrazione cinematografica: "con lui ho imparato i valori dell’umanesimo, la capacità di mettere da parte il personale per il collettivo, la parte per il tutto".
Quando venne proclamata l’indipendenza della Guinea Bissau, infatti, Flora (di ritorno dagli studi di cinema a Cuba) era lì. Con lo sguardo dietro la telecamera e le dita sull’obiettivo, per non perdersi neanche un secondo di quello che sarà uno dei momenti storici più importanti per il Paese.
"Siamo africani, ma siamo diversi dagli altri popoli d'Africa, perché abbiamo conquistato la nostra indipendenza da soli. È un caso unico nella storia del continente africano. Questo dimostra l'intelligenza e la grandezza di Amilcar Cabral e del nostro popolo".
Con A República de Mininus, un film ambientato in un non precisato paese africano abitato solo da bambini, il regista esprime tutta la sua speranza nei giovani, il futuro della Guinea Bissau e dell’Africa intera. "Quando ero giovane io, si parlava sempre del domani, il domani sarà meglio. I giovani della Guinea Bissau, oggi, sono molto più colti e ricchi di strumenti rispetto a noi. Questa generazione ha internet e tutte le sue potenzialità. Il nostro dovere morale è insegnare loro la speranza. È possibile oltrepassare le difficoltà. È solo una questione di tempo".
Guinendadi è un vocabolo nuovo, secondo Flora Gomes, ma che indica un concetto molto caro a Cabral: essere, sentirsi, guineensi. Sapere di fare parte di una collettività in cui ognuno deve fare il suo pezzetto per contribuire allo sviluppo del Paese.
"Una nazione non si costruisce da un giorno all’altro. In Guinea Bissau ci sono tante etnie diverse, che non parlano neanche la stessa lingua. Non è stato facile trovare la chiave di volta, ma alla fine - grazie alla lotta per la liberazione e al creolo - ce l’abbiamo fatta. È come dipingere un quadro e sapere che noi siamo tutti lì dentro".
"Guinendadi è un grido di speranza per quello che siamo e quello che diventeremo. La stessa forza, lo stesso sacrificio che hanno tirato fuori gli uomini e le donne che hanno sacrificato anche le proprie vite per un obiettivo più grande, la liberazione del paese. Siamo stati grandi e continueremo a essere grandi".
Il progetto in cantiere del regista riguarda la memoria collettiva. Un racconto corale fatto dai ricordi di tutte quelle persone che hanno conosciuto e lavorato con Cabral nei momenti più difficili. "Il punto è indagare sul perché in un paese di 36.000 metri quadrati, con persone per lo più analfabete, si sia riusciti a fare una lotta del genere, perché ci siamo capiti e siamo riusciti a superare le difficoltà".